
LA VITA E’ UNA MESSINSCENA, DICE PIRANDELLO.
“Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, la vita è una messinscena. Poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi. Con la spontanea creazione di una realtà ( una per ciascuno e non mai la stessa per tutti). La quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il giuoco non riesce più a ingannarsi”. .
Così Pirandello nella sua Lettera autobiografica.
(1912-13). La vita collettiva, i rapporti interpersonali, si basano sul reciproco inganno, sull’impostura, su una maschera che ognuno indossa sul volto per vivere. Ognuno si costruisce la sua “verità”, la sua immagine di sé che gli permette di vivere nella società. Ma sotto l’identità sociale che l’individuo si dà, c’è il vuoto.
(La vita è una messinscena, dice Pirandello)
Forma contrapposta alla vita.
L’esistenza per Pirandello è una forma. Forma contrapposta alla vita. fatta dalle leggi civili, dalle convenzioni, dalle istituzioni, dai riti con cui l’uomo organizza la propria vita per darle un senso. L’uomo dunque si ritrova ad essere una maschera. Il personaggio di una finzione continua senza accorgersene. La vita si presenta dunque a Pirandello come una messinscena, una finzione da palcoscenico di cui gli uomini sono gli attori involontari e inconsapevoli. Non è che una tragica buffonata, un’enorme pupazzata senza senso, senza spiegazione mai”. ( come scrive in una lettera alla sorella Lina nel 1886) in cui portano una maschera senza saperlo.
l’arte scava sotto le maschere e ne porta alla luce l’incongruenza, ne demolisce la falsità, all’ipocrisia, ancora più sottile e subdola della falsità. Porta alla luce i momenti in cui il meccanismo si rompe e per un attimo l’uomo si vede vivere. Si accorge della forma in cui la sua vita si è cristallizzata. E’ imprigionata senza via di uscita.
(La vita è una messinscena, dice Pirandello).
LA FALSA IDENTITA’
Emblematico, in questo senso, è il titolo che Pirandello dà alla raccolta completa del suo teatro. Spogliare i suoi personaggi delle maschere necessarie per vivere e mostrare che dietro questa falsa identità. Questa prigione opprimente, non c’è nessuna identità e possibilità di evadere, è il nodo centrale della sua arte. Così accade che il protagonista di uno dei capolavori pirandelliani, Enrico IV (1922) IL QUALE da anni ( dapprima per follia, poi per scelta) finge di essere l’imperatore di Germania. Vissuto nel Medioevo, accusi gli altri, i sani, di essere anch’essi dei pazzi, anche loro mascherati, con questa differenza. Egli è cosciente della maschera che indossa per vivere, loro ne sono inconsapevoli.
Il personaggio pirandelliano percepisce che la realtà non ha significato, non si riconosce nei meccanismi della vita e non può che studiarli da fuori. L’unica arma che gli resta è la riflessione, amara, ironica e paradossale.
Una lotta continua tra l’apparire e l’essere.
Queste maschere sono sentite come una trappola, come un carcere in cui l’individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. E’ una lotta continua. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali. La società non è altro che una impalcatura di ipocrisia che isola irreparabilmente l’uomo dalla “vita”. Lo impoverisce e lo irrigidisce conducendolo alla morte interiore prima ancora che a quella fisica.
Alla base di tutta l’opera pirandelliana si denota un rifiuto della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli che essa impone. E’ un bisogno disperato di autenticità, il suo, immediatezza e spontaneità vitale. Pirandello è un ribelle insofferente dei legami, del lacci sociali, contro cui si scaglia la sua critica impietosa. La trappola della “forma” che imprigiona già nella più piccola società che è la famiglia, rapporti ipocriti tra genitori e figli. E’ il crollo dei sentimenti, dell’amore vero ingabbiato nella matrix del conformismo perbenista. Nei suo scritti, Pirandello è acutissimo a cogliere il carattere opprimente dell’ambiente familiare.
LA TRAPPOLA DELL’ECONOMIA.
l’altra è la trappola dell’ economia, costituita dal lavoro. I suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata fatta di lavori monotoni e frustranti. Di un’organizzazione gerarchica oppressiva. Per Pirandello non si può uscire da questa “trappola” se non con il dolore, il trauma improvviso che fa crollare il castello di convenzioni e formalità. In cui l’uomo si è imprigionato. Allora viene fuori il vero volto, l’animo è messo a nudo al cospetto del dolore. Che è purificatore e inceneritore delle maschere precedentemente costruite.
(La vita è una messinscena, dice Pirandello).
LA SALVEZZA NEL DOLORE E NELL’IRRAZIONALE..
La salvezza è nel dolore , ma vi è un’altra via d fuga in cui nascondersi ed è quella dell’irrazionale. Nell’immaginazione che trasporta in un altrove fantastico, come per Belluca DI Il treno ha fischiato. Che sogna paesi lontani e attraverso tale evasione può sopportare l’oppressione del suo lavoro e della famiglia.
Oppure nella ‘follia’, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, l’arma che fa esplodere convenzioni e rituali. Riducendosi all’assurdo e rivelandone l’inconsistenza.
Ma colui che “ha capito il gioco”, il forestiere della vita, si isola, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale. E si esclude, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita. E dall’alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua parte, osservando gli uomini imprigionati dalla “trappola”. Con un atteggiamento “umoristico”, di irrisione e pietà.
LA FILOSOFIA DEL LONTANO
È quella che Pirandello definisce anche “filosofia del lontano” e che consiste nel contemplare la realtà come da un’infinita distanza. In modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che l’abitudine ci fa considerare “normale”. E in modo da coglierne l’inconsistenza, l’assurdità, la mancanza totale di senso.
Non è così forse per la maggior parte dell’umanità? Pirandello aveva capito molto bene il meccanismo dell’animo umano, dei suoi solchi, le sue curve impervie come tornanti di montagna. Nulla vi è di lineare nella psiche umana, costretta nella matrix politica. E peggio ancora delle religioni che assopiscono il senso raziocinante, condannando i molti al torpore dell’intelletto. Per fortuna ci sono anche tanti che, in ogni epoca, erano e sono dei risvegliati forse più liberi. Ma molto infelici, di una infelicità consapevole poiché nulla possono contro questo muro di cemento armato che è l’ipocrisia. A fronte dei dormienti che rimangono tranquilli , contenti e prigionieri.

